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Con i richiami a Sergio Leone, per il ritmo della rappresentazione dell’epopea del West americano e dei suoi primi anni del Novecento, l’autore ripercorre la lunga storia, un’epopea ancora non del tutto conclusa, della falcidiabilità del credito I.V.A. e delle ritenute operate e non versate. La recente pronuncia della Corte di Giustizia 7 aprile 2016 (in causa C-246/14), cui è dedicata la nota di commento, rende ragione delle aspettative di regolazione meno afflittiva sinora vantate dagli imprenditori proponenti il concordato con la riduzione anche dei debiti tributari, a superamento delle posizioni più intransigenti fino a questo momento assunte nella giurisprudenza italiana.
Dopo la spinta alla continuità aziendale nelle procedure conservative, in particolare il concordato preventivo e anche con riguardo ai contratti pubblici, la disciplina speciale degli appalti con il d.lgs. n.50 del 2016 pone a raffronto critico l’interesse del progetto ristrutturativo del debito con l’interesse pubblico alla realizzazione dell’opera.
Con la riforma del 2015, il legislatore interviene ancora sui finanziamenti alle imprese in crisi, con l’art. 182 quinquies, co. 3, l.f., dedicato alla finanza interinale urgente ed al fine di assicurare la continuità aziendale. In un iter accelerato, il tribunale verifica un valore di avviamento da conservare nell’interesse dei creditori, ancorchè manchi l’attestazione di un professionista indipendente. Al controllo autorizzatorio si collega la prededuzione, l’incentivo tradizionale per far accedere al finanziamento, anche nella forma del mantenimento delle linee autoliquidanti esistenti.
Con la sentenza n. 20559 del 2015 la S.C. ha negato cittadinanza nel nostro ordinamento al cd. concordato di gruppo. Ma è legittimo negare ogni riconoscimento giuridico ad un fenomeno che si impone in maniera così prepotente nel contesto economico o si deve ritenere che i giudici di merito siano stati più attenti a farsi carico delle esigenze della realtà imprenditoriale?
Il d.l. n. 83 del 2015, conv. con modif. nella l. n. 132 del 2015, ha introdotto l’art. 163 bis l.f. sulle offerte concorrenti: un nuovo e particolare percorso procedimentale da attivare nel caso in cui la proposta di concordato contenga un’offerta di affitto o acquisto di un bene o di un’azienda e volta alla ricerca nel mercato di offerte messe in competizione fra loro e con l’obiettivo di una cessione a migliori condizioni. La norma impone una decisa direzione verso la competitività esterna nella liquidazione concordataria, ma non mancano dubbi e difficoltà interpretative sulla coerenza tra la finalità e il congegno previsto.
Con il nuovo art.2929bis c.c. il creditore anteriore con un titolo esecutivo può procedere ad esecuzione sui beni oggetto di atti di alienazione o costitutivi di vincoli di indisponibilità su immobili o mobili registrati compiuti a titolo gratuito dal proprio debitore: superando la più tradizionale azione contro gli atti ed aggredendo direttamente i beni, il d.l. 27 giugno 2015, n.83 assicura una potente tutela del credito entro l’anno dalla trascrizione della formalità che si presume, fino a prova contraria, pregiudizievole.
In un periodo in cui il sistema bancario italiano si dimostra quanto mai fragile agli occhi dell’opinione pubblica occorre chiedersi se gli attuali strumenti forniti dal diritto penale siano in grado di apprestare una tutela realmente efficace dei risparmiatori e degli investitori non professionali. La risposta non è piacevole: la protezione offerta dai reati societari e bancari è quasi sempre riflessa e soggetta a notevoli difficoltà applicative, cosicché residua la tutela dei reati comuni e fallimentari, che intervengono sempre in fasi avanzate della compromissione dell’integrità degli operatori. Insomma, la scelta di non dotare il sistema di fattispecie di pericolo condanna l’intervento repressivo penale ad una desolante condizione di inefficacia…
Evolutosi in forme e direzioni delle quali, nell’immediato, sfugge, in parte, la razionalità e l’orientamento, il controllo valutario è diventato con il tempo, quasi inavvertitamente, presidio delle ragioni fiscali interne e di quelle antiriciclaggio. Progressivamente, i corrispondenti sistemi normativi si sono mescolati, vicendevolmente alimentati, scambiandosi nozioni, strumenti, in parte, obiettivi. Che questa sia una colpa, una sottile slealtà o un’inevitabile evoluzione nella ricerca comune delle diverse ragioni del sommerso è dissidio che non si aspira davvero di comporre.
Certo è che in un quadro esteso di economia sommersa nazionale che nessuno può quantificare, se non attraverso l’insostenibile gravosità del peso contributivo sostenuto da chi è visto ed esiste per il fisco (in luogo di chi da esso si nasconde), negare radicalmente le ragioni di dissuasione sottese alle forme di sorveglianza di quanto favorisce, obiettivamente, l’anonimato e non consente la tracciabilità appare posizione che sfugge il senso di realtà. Aderirvi importerebbe una sola conclusione: la semplice ed incondizionata resa alle capacità contenitive del mercato e dell’individuo. Sulle une sulle altre, si può nutrire qualche dubbio. E d’altro canto non completare, sia pure progressivamente, il cerchio della completa tracciabilità sarebbe chiaramente scelta antieconomica. Si vanificherebbero, con le fatiche, i costi sostenuti per costruire la rete.
Il tema investe, anche, i controlli relativi al contante.
Non vi è dubbio che la voluntary disclosure è, al fondo, anzitutto una manovra economica, volta a favorire la patrimonializzazione delle società e, ad un tempo, un’ultima possibilità di beneficiare di letture meno malevoli – in termini penali - delle originarie e nascoste allocazioni di risorse all’estero. Ma al di là del contingente, quando sarà studiata e comunicata in forme compiute, l’esperienza potrebbe offrire indicazioni preziose, anzitutto sul carattere seriale e multiforme dell’evasione e di quanto la favorisce.
Il tema del pagamento/soddisfacimento dei creditori è sempre stato uno degli aspetti caratterizzanti il concordato preventivo. Nel periodo ante riforma segnava una delle criticità della procedura minore, nel senso che una delle cause di non funzionamento era normalmente ricondotta proprio alla necessità del debitore di dovere assicurare il pagamento integrale dei creditori privilegiati ed una soglia alta di soddisfazione dei creditori chirografari. Nel periodo post riforma ha animato il dibattito dottrinario e giurisprudenziale sotto molteplici punti di vista: dalle questioni relative alla formazione delle classi (con tutti i problemi conseguenti al rispetto dell’ordine legittimo delle cause di prelazione) a quelle relative alla falcidia dei creditori privilegiati incapienti; dalla possibilità di dilazionare il pagamento dei creditori prelatizi alle problematiche relative all’uso della finanza esterna; senza dimenticare le altre questioni, quali ad es. quella riconnessa al necessario riconoscimento di una percentuale minima di soddisfacimento dei creditori chirografari e quella concernente l’obbligo del debitore di assicurare un soddisfacimento certo al creditore concordatario. L’intervento della novella di cui al d.l. n. 83 del 2015, conv. con modif. nella l. n. 132 del 2015, sembra avere riacceso i riflettori proprio sulla necessità di riconoscere una percentuale minima del venti per cento ai creditori chirografari, con una sorta di ritorno al passato. Ma tale intervento riguarda tutti i concordati? Ed interessa solo i creditori chirografari?
L’entrata in vigore dell’articolo 10 bis («Disciplina dell'abuso del diritto o elusione fiscale») della legge 27 luglio 2000, n. 212 («Disposizioni in materia di statuto dei diritti del Contribuente») e la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del decreto legislativo 24 settembre 2015 n. 158 sulla «revisione del sistema sanzionatorio», in vigore dal 22 ottobre di quest’anno, rappresentano i momenti di maggior interesse penalistico del non agevole processo di attuazione della delega fiscale (legge 11 marzo 2014 n. 23). L’autore ci illustra dettagliatamente le nuove disposizioni non facendo mancare le proprie osservazioni critiche su un approdo che egli non esita a definire ingenuo: imponendosi per legge la rigorosa irrilevanza dell’infedeltà per evasione valutativa ed interpretativa si corre, infatti, il rischio di non contrastare comportamenti solo apparentemente abusivi, poco contenibili con reazioni amministrative, specie ove sostenuti da interessate letture alternative dei criteri che caratterizzano l'ordinamento tributario, ora rese prevalenti sul dato fattuale reale.
Correndo il rischio dell’ovvietà, si evade fiscalmente in quanto ci si sottrae all’adempimento di obblighi tributari, formali e sostanziali, connessi ai presupposti già sorti dell’imposizione. Quali situazioni di fatto, scaturigine dell’obbligazione tributaria, essi assumono importanza in quanto riconosciuti da norme tributarie, che, a loro volta, definiscono, tra l’altro, il soggetto passivo, l’imponibile, le aliquote, i criteri di classificazione, di imputazione, con le ulteriori forme e ogni altro contenuto di rilevanza giuridica. Al fondo, il punto focale sul quale l’attenzione degli esegeti e degli operatori rimarrà concentrata sarà sempre lo stesso: comprendere se la condotta del contribuente è stata funzionale a non far sorgere il presupposto di imposta ovvero a non far nascere ed ostacolare l’accertamento di un’obbligazione tributaria già sorta.