Il contante costituisce tematica rispetto alla quale si delineano vedute contrapposte e, sovente, insanabili. L’oscillazione estrema spazia tra la radicale demonizzazione dello strumento e l’orgogliosa rivendicazione del diritto di utilizzarlo senza limiti per la sua valenza democratica ed inclusiva. Il contante, infatti, sembra ancora ai più la ricchezza “alla portata di tutti” e di “facile” spendita e custodia.
Ogni volta che nel dibattito economico e politico si riaffaccia l’opportunità di mantenere o di variare le forme di sorveglianza pubblica rispetto alla spesa ed al trasferimento del contante, inevitabilmente, le diverse sensibilità riemergono e si irrigidiscono. A rivelare le ragioni e gli interessi nascosti al di sotto di queste “scontrose” impostazioni possono aiutare alcune domande, quasi sempre trattenute negli studi istituzionali .
Il contante è, davvero, lo strumento tipico dell’evasione, della corruzione e del crimine organizzato e, più in generale, dei crimini da profitto?
In secondo luogo, poi, è proprio vero che la vicenda del contante stia vivendo una fase recessiva, in ragione di un processo in atto di sostituzione in favore degli strumenti alternativi (cashless) e nel contesto di una strategica politica di “lotta al contante” voluta dai regolatori politici?
Sono probabilmente queste le questioni fondamentali che animano l’interesse di chi si avvicina al tema con l’aspirazione di riconoscere gli impieghi autentici favoriti dal tradizionale strumento di pagamento e dalla popolare riserva di valore; e sono queste le questioni su cui si sofferma l’Autore di questo scritto.
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