Il presente contributo si occupa della prededuzione del credito del professionista nel concordato preventivo e nell’eventuale successivo fallimento. Nella consapevolezza che si tratta di un tema arato, ma non univocamente risolto dalla giurisprudenza della S.C. e che si tratta di un postulato sicuramente condivisibile quello di non gravare in misura eccessiva sull’attivo disponibile per la massa dei creditori, l’Autore critica la tesi dell’utilità in concreto, evidenziando che più persuasiva risulta la tesi diametralmente opposta, che considera l’attività di assistenza all’imprenditore strumentale all’accesso al concordato, in linea di principio, sempre utile ai creditori, dal momento che solo per effetto del deposito del ricorso ex art. 161 (anche “con riserva”) prende a operare la regola della par condicio e cessano di decorrere, ex art. 55, gli interessi sui crediti chirografari (cosa che la semplice messa in liquidazione della società non produce), scongiurandosi in tal modo l’aggravamento del dissesto. Del resto la tesi dell’utilità concreta è difficilmente conciliabile con la natura di obbligazione di mezzi della prestazione professionale: se quest’ultima non è svolta con la dovuta diligenza non si pone tanto un problema di prededuzione, quanto di esistenza stessa del credito. Nell’ultima parte dello scritto, infine, l’Autore si sofferma sulla problematica del pagamento dei crediti prededucibili in corso di procedura.
Articoli della legge fallimentare interessati: ART. 111 (l.f.), ART. 161 (l.f.), ART. 173 (l.f.), ART. 182quater (l.f.)
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