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Nel contributo si analizza il fenomeno del lobbying, nell’ambito del moderno Stato di democrazia pluralista, ricorrendo alla metafora del rapporto “creditore-debitore”. In particolare – premessa la espansione delle relazioni lobbistiche, che innervano le Istituzioni ed influenzano i processi decisionali politici pubblici – l’Autore si interroga sulla sussistenza di un vincolo “fiduciario” fra il titolare dell’interesse ed il suo rappresentante (i.e. il lobbista) analogo a quello che lega l’elettore “creditore” all’eletto “debitore”. A tal fine l’Autore sintetizza le modalità di regolamentazione del lobbying: negli USA e nella UE – ove tale fenomeno è ritenuto elemento fisiologicamente connesso alla attività del decisore politico e, pertanto, formalmente acquisito all’ordinamento giuridico-istituzionale – ed in Italia ove, invece, persiste una certa resistenza alla normativizzazione dei cd. gruppi di pressione; con l’unica eccezione delle procedure di “registrazione” attuate in alcune sedi ministeriali (i.e. MISE, MIPAAFT e MATTM) e dalla Camera dei deputati – oltreché da alcune Regioni – finalizzate a rendere quanto più trasparente possibile il procedimento di selezione, elaborazione e adozione delle politiche pubbliche. La conclusione della breve analisi induce a ritenere che proprio il rapporto fra portatore di interesse e gruppo di pressione sia assimilabile a quello fra creditore e debitore – perlomeno in un sistema democratico-parlamentare – molto più di quanto non lo sia quello fra elettore ed eletto: il lobbista si impegna infatti a patrocinare l’interesse portato nel rispetto dei contenuti indicati dal rappresentato – ancorché con libertà di modi e forme di relazione politica – e non anche a riformularli in termini di “bene comune” o “collettivo”. Da qui, pertanto, la stringente esigenza di una organica legislazione in materia, urgente anche in Italia.

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