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La mente umana è un interessante spazio al confine tra il materiale e l'immateriale. E' un teatro segreto dove hanno luogo infiniti monologhi senza parole; dove trovano invisibilmente dimora tutti gli stati d'animo, tutte le riflessioni, tutti i misteri. Un regno dove ognuno di noi regna solitariamente e univocamente, chiedendo quel che vuole e ordinando quel che può. Un eremo nascosto, dove studiare il libro di quel che abbiamo fatto e di quel che ancora potremmo fare. Un introcosmo che é più noi stessi di qualunque cosa possiamo trovare in uno specchio. È così che Julian Jaynes definisce la mente umana, come una coscienza che è tutto e niente.

Ma più di ogni altra cosa, la mente umana è un'inesauribile fonte di scoperte. Lo sta lentamente comprendendo la disciplina economica, che con le nuove branche di Behavioural Economics (economica comportamentale) e neuroeconomia si avvia ad integrare i nostri modelli economici con le nostre conoscenze della mente. Lo scopo primario del contributo è precisamente evidenziare come questi nuovi campi di ricerca possano arricchire la scienza economica tradizionale attraverso lo studio delle componenti psicologiche e neurali delle nostre scelte.

Si tratta cioè di capire quale sia l'influenza di fattori interiori e invisibili sulla realtà esterna e tangibile che ci circonda; si tratta di capire se una conoscenza approfondita del nostro cervello e dei suoi meccanismi possa portarci ad una maggiore comprensione dei fenomeni economici e finanziari intorno a noi, in particolare quelli di incertezza e crisi. Quanto delle nostre azioni è attribuibile a processi biologici? Quanto delle nostre decisioni dipende dai sistemi neurali che governano il nostro pensiero? Che ruolo hanno le emozioni nei mercati finanziari? Questi e tanti altri interrogativi di economia, psicologia e filosofia della mente costituiscono il contenuto di questa tesi, che s'interroga sul futuro della scienza economica e si prefigge l'obiettivo di discutere la potenziale applicazione della neuroscienza allo studio della finanza.

Il lavoro apre dunque con un esempio concreto del ruolo che la psicologia può giocare sulle strategie finanziarie: è la storia di Nick Leeson, operatore di borsa alla Barings Bank, che il 23 Febbraio 1995, partì per Kuala Lumpur lasciando dietro di sé un biglietto con scritto "Mi dispiace" ed un debito di 827 milioni di sterline. La storia di Nick Leeson e degli errori finanziari che commise in situazione di panico emotivo, è un esempio classico di quanto deleterio possa essere, per l'economia, l'effetto di emozioni quali la paura e l'avversione al rischio.

Ma non sono solo le persone come Nick Leeson, non sono solo gli imprenditori finanziari, a combattere con la complessità della nostra "società del rischio" (come il sociologo Ulrich Bech l'ha definita): lo siamo tutti. Come direbbe Gerd Gigerenzer, tutti noi sappiamo leggere e scrivere eppure non siamo in grado di gestire l'incertezza: siamo analfabeti del rischio.

Più in generale, i nostri processi decisionali sono preda d'innumerevoli insidie. Come si spiega nel secondo capitolo del lavoro, il tipo di fattori psicologici che hanno influenzato il comportamento di Nick Leeson è onnipresente nel processo decisionale umano. Eppure, purtroppo, la disciplina economica ha tradizionalmente trascurato questi aspetti psicologici/cognitivi delle nostre scelte. La teoria economica ha infatti generalmente assunto che le persone risolvano i problemi importanti così come li risolverebbero gli economisti.

Invece di guardare la mente umana da un punto di vista olistico, l'economia ha a lungo concettualizzato il mondo come popolato da tanti Homo Economicus, esseri senza emozioni, calcolatori e massimizzatori. Questo modello allettantemente semplice e pratico è stato spesso giustificato in quanto facile da formalizzare e includere nei calcoli. Eppure è una descrizione irrealistica e inesatta dell'agente economico medio. L'approccio del "come se", che considera gli esseri umani "come se" fossero pienamente razionali, è stata un'utile astrazione fintanto che il cervello era una scatola nera inaccessibile e fintanto che i meccanismi comportamentali delle nostre scelte erano sconosciuti. Al giorno d'oggi, abbiamo sempre più prove, e sperimentali e scientifiche, che confutano la visione degli esseri umani come creature pienamente razionali e che mettono dunque in evidenza la necessità di tradurre le scoperte della psicologia in modelli economici formali.

Economia comportamentale e neuroeconomia sono i nuovi campi che, dopo quasi un secolo di separazione accademica tra economia e psicologia, provano a introdurre gli argomenti psicologici nel discorso economico. Negli ultimi due decenni, l'economia comportamentale è diventata un prolifico settore di ricerca e sempre più studiosi stanno riconoscendo che praticamente ogni settore dell'economia potrebbe trarre vantaggio dal tratteggiare più realisticamente la natura umana.

L'economia comportamentale è stata quindi applicata a studi di finanza, giurisprudenza, economia dello sviluppo, teoria dei giochi, macroeconomia, economia ambientale e molte altre aree di ricerca.

L'obiettivo dell'economia comportamentale è duplice. Da un lato, essa individua le deviazioni del nostro comportamento dai presunti standard di razionalità, ovvero diagnostica i modi in cui gli esseri umani tendono a commettere prevedibili errori cognitivi. Dall'altro, mostra le modalità in cui tali deviazioni dai modelli tradizionali possono essere rilevanti nei contesti economici e finanziari.

Il motivo per cui è importante arricchire la disciplina economica in modo da renderla più precisa e più simile al mondo reale – il motivo per cui vale la pena esplorare l'economia comportamentale – è che, influente com'è oggi, la disciplina economica non può permettersi di basarsi su premesse inesatte. Se è vero, come suggerisce Thaler, che gli economisti detengono il monopolio nell'influenzare la politica pubblica, allora l'economia non può partire da ipotesi erronee. Ora che l'economia è diventata la "grammatica della politica", deve distanziarsi da ogni tipo di mitologia, quali la teoria dell'efficienza dei mercati (efficient market hypothesis) e la presunta razionalità umana.

Data la preminenza dell'economia nel "mercato delle idee" e il suo impatto complessivo sulla società in genere, dobbiamo assicurarci che gli argomenti con cui l'economia dà forma alle politiche pubbliche siano legittimi e che le politiche che ne risultano siano efficaci. L'economia comportamentale può aiutare proprio in questo. Ecco perché i governi nazionali si affidano sempre più ad esperti di behavioural economics per includere, nella formulazione dell'indirizzo politico, nozioni di diverse scienze sociali. Il governo del Regno Unito ha istituito un importante Behavioural Insights Team nel 2010, mentre Obama ha sposato la causa dell'economia comportamentale creando nel 2014 il Social and Behavioural Sciences Team, che è parte dell' Office of Science and Technology Policy della Casa Bianca.

Tali esperti comportamentali si sono rivelati necessari a seguito dell'ultima crisi finanziaria, che ha evidenziato l'inadeguatezza degli strumenti economici tradizionali. Infatti, prima dello scoppio della crisi, quasi nessun economista aveva compreso a fondo lo stato dell'economia e le sue pericolose prospettive. Basti pensare che Alan Greenspan, presidente della Federal Reserve americana, come pure il suo successore Ben Bernanke, nel 2004/2005 si dichiarava convinto che una bolla speculativa non fosse in arrivo. Parimenti, nel mese di agosto 2008 (!) Olivier Blanchard, economista capo del Fondo Monetario Internazionale, affermò: "lo stato della macroeconomia è buono", proprio prima che il mercato finanziario americano collassasse.

Un attento studio della crisi finanziaria globale può dunque rivelare un fallimento della teoria economica tradizionale e indicare la necessità di modificare le vecchie ipotesi.

Ma perché dovremmo volgere lo sguardo all'economia comportamentale e alla neuroeconomia? Quali sono state le principali scoperte del settore? Il capitolo 2 del lavoro si occupa proprio di questo argomento, sottolineando le imprecisioni descrittive della teoria economica tradizionale e presentando i principali contributi degli economisti comportamentali. Il capitolo 3 si focalizza poi sugli sviluppi più recenti dell'economia comportamentale, discutendo la neuroeconomia e la sua validità. Vi si espone il dibattito sulla legittimità ontologica della neuroeconomia (the case for mindless economics) e si descrive come le neuroscienze possano aiutarci a saperne di più sui processi di ragionamento coinvolti nelle decisioni finanziarie. In particolare, il capitolo analizza l'applicazione della neuroeconomia alla teoria dei giochi. Infine, nel capitolo 4, dopo una panoramica delle principali cause delle crisi finanziarie, ci si chiede se e come la neurofinanza possa aiutarci a spiegare le variabili fondamentali che stanno alla base del crollo dei mercati.

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