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Nell’esperienza giudiziaria la natura di reati propri delle bancarotte improprie (artt. 223-226 in relazione agli artt. 216, 217, 218, 220, l.f.) non vale a garantire l’agevole e completa individuazione degli autori effettivi delle trasgressioni dei doveri gestori e di controllo che le realizzano o le favoriscono.

Appare solida acquisizione, infatti, quella per cui la verifica della responsabilità penal-fallimentare viene naturalmente rivolta nei confronti dei soggetti investiti delle formali cariche gestorie o di controllo in seno all’impresa fallita. Consapevolezza, evidentemente, non estranea anche a coloro che, all’insorgere dei segnali della crisi o dopo esperienze imprenditoriali rovinose, deliberatamente continuano a gestire e a sorvegliare celandosi dietro altrui vesti formali per lucrare l’irresponsabilità penale di una verifica trascurata o frettolosa, o in ragione dell’assenza di incarichi comunicati ai soggetti pubblici (Agenzia delle entrate, Registro delle imprese, istituti previdenziali ed assistenziali).

La stessa aspirazione è sovente sorretta da letture dereponsabilizzanti dei doveri di controllo sull’attività gestoria espressasi in operazioni connotate da riprovazione penale per le modalità e per le finalità specifiche per cui sono congegnate, in quanto pregiudizievoli per l’interesse dei creditori; ad esempio, per avere diminuito la garanzia del patrimonio dell'impresa, ovvero attuato politiche discriminatorie tra coloro che nutrono legittime aspettative su quel patrimonio. È questo il tema dell’individuazione degli intranei “problematici” e degli autori di reati omissivi impropri, cui è dedicata al Parte Prima dello scritto.

Il carattere occasionale del contatto con il gestore della società in crisi, inoltre, può originare ulteriori ragioni di difficoltà per intendere se colui che resta beneficiato dall’altrui condotta di rilievo fallimentare o che vi ha offerto un contributo significativo, ne abbia apprezzato realmente l’autentico disvalore. Ma anche la necessità di non ometter di rilevare che alcuni contributi esterni sono talmente usuali nella pratica da consentire di parlare di extranei “tipici” (cfr. Parte Seconda).

Approfondendo la riflessione, infine, si perverrà ad esaminare il ruolo degli istituti di credito (cfr. Parte Terza), affatto estraneo all’esperienza giudiziaria dei reati fallimentari, anche se non di rado sottovalutato per la difficoltà di distinguere chiaramente i termini di illiceità nel presidio delle ragioni del creditore professionale ovvero nella trascuratezza delle verifiche del merito creditizio dell’imprenditore finanziato. Ma non pare opinione troppo severa né, invero, inedita quella di chi sostiene che in alcuni casi, senza il concorso degli istituti di credito, la commissione dei reati fallimentari da parte degli amministratori non sarebbe possibile. Quello che forse può dirsi acquisizione moderna è la consapevolezza dell’importanza del tema, ormai non più di “nicchia”.

Articoli della legge fallimentare interessati: ART. 216 (l.f.)ART. 217 (l.f.), ART. 217bis (l.f.), ART. 218 (l.f.), ART. 220 (l.f.)ART. 223 (l.f.)ART. 224 (l.f.), ART. 225 (l.f.), ART. 226 (l.f.)

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