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Come si evince immediatamente dal titolo, lo scritto affronta il ruolo del pubblico ministero nel fallimento e nelle altre procedure di composizione della crisi d’impresa.

Senza essere organo di alcuna delle procedure concorsuali o negoziali, il pubblico ministero è divenuto potenziale controllore di ciascuna di esse, pur quelle più spinte sotto il profilo della regolamentazione privata della prevenzione e della gestione dell’insolvenza. Anzi, questo è il suo ruolo più moderno in ragione della originale direzione assunta dalla disciplina di settore. Venuto meno il potere officioso del giudice di dichiarare il fallimento e confinato il controllo giudiziale entro i limiti non nitidi della fattibilità giuridica rispetto al concordato preventivo o della regolarità procedimentale in relazione all’accordo di ristrutturazione, le possibilità di interlocuzione e di indagine del pubblico ministero rappresentano il segno tangibile dell’esistenza di una clausola di salvaguardia (ove non si voglia parlare di riserva mentale) nel processo di privatizzazione della crisi, a tutela dei creditori emarginati e meno informati.

In questa sfida il pubblico ministero è richiesto di solida capacità di assolvere impegni, in parte significativa, eterogenei rispetto a quelli consueti e di contenuto variabile in base alle differenti procedure concorsuali. Se in seno alla procedura fallimentare più accentuata è l’attenzione verso i contenuti della rappresentazione delle vicende imprenditoriali del fallito in relazione alla verifica dell’integrazione di fattispecie penali, nelle altre procedure della crisi a soluzione maggioritaria appare più spiccato il ruolo di garante della fedeltà informativa e del meritevole accesso ad esse in relazione ai collegati effetti, sostanzialmente, esdebitatori.

Dopo il processo di intensa privatizzazione del diritto societario e le poderose aperture verso la gestione negoziale della crisi degli anni 2000, non senza qualche sorpresa, l’intero baricentro pubblico della funzione protettiva del mercato si è oggi spostato in capo al pubblico ministero, potenziato nel ruolo di controllore dell’insolvenza e più in generale della crisi. Situazione affatto sconfessata dalle tendenze di riforma attualmente in discussione in sede parlamentare, decisamente favorevoli all’estensione del suo potere d’iniziativa in presenza della situazione insolvenza.

Per evitare di sfuggire tale impegno con l’inerzia, lo sforzo più intenso che sembra delinearsi a carico del pubblico ministero è quello di organizzare la competente conoscenza delle ragioni della crisi economica. Al netto di eccezioni, infatti, non di rado essa è anche crisi di legalità ed esperienza di infedeltà dolosa verso le ragioni dei creditori.

Quale che sia la terapia preferita per l’insolvenza o lo stato di crisi, antibiotica o chirurgica – ovvero sia che si ritenga preferibile mantenere il soggetto inserito nel corpo economico e difenderne gli attivi sia che si assuma utile espellerlo e liquidarne le risorse – sia che si opti per la procedura di allerta, di prevenzione e di gestione, più o meno innovativa o classica, per consentire un’emersione tempestiva e limitare la perniciosa diffusione degli effetti economici, si dovrà convenire con l’osservazione che il pubblico ministero resta il principale strumento di allerta di cui, allo stato, il mercato dispone. Ed in ogni caso, venuto meno il potere officioso del tribunale, il solo soggetto pienamente indipendente, in quanto esterno all’imprenditore e autenticamente sottratto alla sfera delle sue influenze.

Articoli della legge fallimentare interessati: ART. 6 (l.f.)ART. 7 (l.f.), ART. 161 (l.f.), ART. 182bis (l.f.)

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