Con la recente sentenza a Sezioni Unite del 6 maggio 2015, n. 9100, la Suprema Corte, intervenendo a comporre un contrasto giurisprudenziale creatosi in seno alla Prima Sezione Civile, ha ritenuto che «Nell'azione di responsabilità promossa dal curatore a norma dell'art. 146, secondo comma, legge fall., la mancata (o irregolare) tenuta delle scritture contabili, pur se addebitabile all'amministratore convenuto, non giustifica che il danno risarcibile sia determinato e liquidato nella misura corrispondente alla differenza tra il passivo accertato e l'attivo liquidato in sede fallimentare, potendo tale criterio essere utilizzato solo quale parametro per una liquidazione equitativa ove ne sussistano le condizioni, sempreché il ricorso ad esso sia, in ragione delle circostanze del caso concreto, logicamente plausibile e, comunque, l'attore abbia allegato un inadempimento dell'amministratore almeno astrattamente idoneo a porsi come causa del danno lamentato, indicando le ragioni che gli hanno impedito l'accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell'amministratore medesimo» (così la massima ufficiale redatta dall’Ufficio del Massimario della Cassazione). Nella presente nota vengono riassunti e sottolineati i passaggi più significativi della sentenza, non mancandosene di evidenziare l’importanza a fronte delle interpretazioni di alcune sentenze, soprattutto di merito, che imputano il danno arrecato alla società agli amministratori per il semplice fatto dell’esistenza di un disordine nelle scritture contabili, addebitandogli equitativamente l’intero danno costituito dallo sbilancio tra passivo accertato e attivo liquidato (cd. deficit fallimentare).
Articoli della legge fallimentare interessati: ART. 146 (l.f.)
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